Traffico Illecito

Nel diritto internazionale la regolamentazione dell’obbligo di restituzione dei beni appartenenti al patrimonio culturale, rubati e illecitamente esportati oltre frontiera, rappresenta l’aspetto centrale della disciplina della circolazione e del regime della proprietà dei beni culturali mobili.
In termini generali, non esiste ancora una regola valida per tutti i paesi che obblighi a restituire le opere d’arte trafugate dal territorio di uno Stato a quello di un altro, tranne che in caso di beni sottratti nel corso di un conflitto armato.
La lotta contro il traffico illecito viene allora combattuta attraverso l’elaborazione di trattati multilaterali. Mediante l’adesione a questi trattati o convenzioni lo Stato s’impegna a garantire la restituzione dei beni del patrimonio culturale di un altro Stato, ma solo a determinate condizioni che variano a seconda della convenzione considerata e che, fatta eccezione per la più recente sottoscritta a Roma nel 1995, non risultano in pratica molto incisivi.
Queste le principali convenzioni multilaterali in vigore:
Primo Protocollo alla convenzione dell’Aja del 14 maggio 1954, per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato (applicabile per i beni trafugati durante la guerra).
Convenzione UNESCO del 14 novembre 1970, concernente le misure da prendere per vietare ed impedire l’importazione, l’esportazione e il trasferimento di proprietà illeciti di beni culturali.
Convenzione di San Salvador del 16 giugno 1976, on the Protection of Archaeological, Historical and Artistic Heritage of the American Nations.
Convenzione UNIDROIT del 24 giugno 1995, sui beni culturali rubati o illecitamente esportati.
Gli obblighi di restituzione valgono solo per gli Stati che ratificano nei loro rapporti reciproci e unicamente per gli oggetti che rientrano nella definizione di “beni culturali” contemplata da ciascuno strumento convenzionale.
L’entrata in vigore di queste convenzioni ha determinato un’evoluzione nella disciplina del regime di circolazione internazionale, introducendo soluzioni speciali di diritto materiale uniforme, con il risultato di dare la prevalenza all’interesse alla protezione del patrimoni culturali nazionali e al ritorno dei beni nel paese d’origine, derogando – in varia misura – al regime giuridico del trasferimento di proprietà applicabile ai beni comuni e al principio della libera circolazione dei beni.
Una disciplina speciale è vigente nel diritto comunitario, in forza della Direttiva (CEE) 93/7 del 15 marzo 1993 sulla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro, che obbliga tutti gli Stati membri della Comunità europea a restituire allo Stato membro di appartenenza i beni del suo patrimonio culturale.
CONVENZIONE UNIDROIT
Il livello più avanzato di tutela contro il traffico illecito è stato raggiunto con la stipula della Convenzione UNIDROIT sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente esportati firmata a Roma il 24 giugno 1995, in vigore dal 1998, attualmente ratificata da 29 Stati fra cui l’Italia ( legge 7 giugno 1999 n. 213 che disciplina le modalità di esecuzione).
La peculiarità di questa Convenzione è di aver finalmente introdotto un preciso obbligo di restituzione nelle due ipotesi del furto d’opere d’arte e dell’esporta­zione illecita di beni facenti parte del patrimonio culturale nazionale di uno Stato contraente.
L’azione di recupero è esperibile solo per i beni che sono compresi nell’allegato alla Convenzione, rinvenuti nel territorio di un altro Stato contraente.
Gli Stati che non hanno aderito non hanno obblighi di restituzione.
Si noti che per quanto riguarda i rapporti fra gli Stati che sono anche membri della CE (Cipro, Grecia, Finlandia, Lituania, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Romania) prevale la disciplina di diritto comunitario di cui alla direttiva 93/7 (art. 13, par. 3 Conv.) che pure impone la restituzione.
La Convenzione UNIDROIT prevede un regime differenziato per il furto e l’esportazione illecita.
Per il furto, vale il principio della restituzione automatica: il possessore di un bene culturale rubato e ritrovato in un altro Stato aderente alla Convenzione deve restituirlo (art. 3, par.1: The possessor of a cultural object which has been stolen shall return it”).
Per ottenere la restituzione è sufficiente che il proprietario spossessato, sia esso un ente pubblico o un soggetto privato, dia prova dell’avvenuto furto.
Al furto è equiparata la sottrazione di beni provenienti da scavi clandestini e da scavi regolari ma illecitamente detenuti (art. 3, par. 2). Questa precisazione è importante perché consente di recuperare anche gli oggetti archeologici non ancora inventariati, cosa che invece non è possibile in applicazione della Convenzione UNESCO del 1970.
L’obbligo di restituzione dei beni culturali rubati sancito da questa Convenzione è destinato ad avere un notevole impatto negli ordinamenti degli Stati contraenti, soprattutto in quelli che, come il nostro, tutelano la posizione dell’acquirente di buona fede di un bene rubato, attribuendogli a determinate condizioni la proprietà del bene medesimo (art. 1153 codice civile).
Il possessore del bene culturale trasferito all’estero dopo il furto deve restituirlo in base alla disciplina speciale introdotta dalla Convenzione, ma ha diritto al pagamento di un equo indennizzo (payment of fair and reasonable compensation), qualora riesca a dimostrare che egli:neither knew nor ought reasonably to have known that the object was stolen and can prove that he exercised due diligence when acquiring the object” (art. 4, par. 1).
Per quanto concerne i beni appartenenti al patrimonio nazionale trasferiti all’estero per mano del legittimo proprietario in violazione delle norme sull’esportazione, anch’essi possono essere recuperati in applicazione della Convenzione UNIDROIT a determinate condizioni.
L’azione, volta ad ottenerne il ritorno, può essere intentata solo dallo Stato che dimostri che la fuoriuscita del bene ha rappresentato:
- un danno significativo ad uno degli interessi “culturali” specificamente elencati dall’art. 5 Conv. : a) la conservazione materiale del bene o del suo contesto; b) l’integrità di un bene complesso; c) la conservazione dell’informazione, per esempio di carattere scientifico o storico; d) l’uso tradizionale o tribale del bene da parte di una comunità autoctona o tribale.
- ovvero che la richiesta di restituzione sia giustificata dalla “importanza culturale significativa” del bene per lo Stato richiedente.
Nell’ipotesi della conservazione dell’informazione di cui al punto c) sono compresi i beni archeologici trafugati da scavi clandestini o quelli provenienti da scavi regolarmente autorizzati, che siano stati portati all’estero senza autorizzazione.
Se viene ordinato il ritorno del bene, il possessore attuale ha diritto a chiedere un indennizzo allo Stato, a condizione però che dimostri che non sapeva e che non avrebbe dovuto ragionevolmente sapere, al momento dell’acquisto, che il bene era stato esportato illecitamente (art. 6, par. 1 Conv.). Al riguardo una delle circostanze da considerare è l’eventuale mancanza della licenza di esportazione prevista dalla legislazione dello Stato che propone la richiesta di ritorno (art. 6, par. 2 Conv.).
Il possessore attuale può, in alternativa alla corresponsione dell’indennizzo e d’accordo con lo Stato richiedente, decidere di rimanere proprietario del bene o di trasferirlo, a titolo oneroso o anche gratuito, a una persona di sua scelta, residente nello Stato richiedente e che presenti le “garanzie necessarie” (art. 6, par. 3 Conv.).

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