Azione Comunitaria

La riforma dell’ordinamento dell’Unione Europea (UE), avvenuta con il Trattato di Lisbona entrato in vigore il 1° dicembre 2009, non ha modificato la norma dedicata alla “cultura”, cioè l’art. 151 del Trattato istitutivo della Comunità europea (TCE). Infatti l’art. 167 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) ha ripreso i contenuti del “vecchio” art. 151 TCE rimanendo, anche dopo la recente riforma, l’unico articolo che si occupa espressamente della materia culturale. Esso offre una base giuridica specifica per l’intervento dell’Unione Europea in diversi settori inerenti alla cultura, compreso quello della “conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea”, come si legge nel testo dell’art. 167, 2 par., secondo trattino.
Il patrimonio culturale di “importanza europea” è dunque la realtà protetta dall’art. 167 TFUE. Questa formula evidenzia il superamento di un concetto di “patrimonio culturale” di esclusivo interesse nazionale, per sottolineare come la stessa UE miri a valorizzare le testimonianze materiali più significative della cultura europea, che indubbiamente rappresentano elementi del “retaggio culturale comune”, cui fa cenno il primo paragrafo dello stesso art. 167.
Con tale formula si era inserito nel Trattato istitutivo, nella versione rivista a Maastricht nel 1992, il concetto di patrimonio europeo. Questo concetto, tuttavia, sebbene fosse già comparso, con formulazioni simili, nella Convenzione culturale europea del 1954 e nella Risoluzione del Parlamento europeo sull’azione comunitaria nel settore culturale del 1979 (in G.U.C.E. C 39 del 12.2.1979, p. 50), non ha ancora acquisito un proprio contenuto giuridico specifico a livello comunitario. Un tentativo di definizione di “Common heritage of Europe” è invece contenuto nell’art. 3 della recente Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società del 2005, che però non è parte del diritto comunitario.
Del resto, esso non sembra corrispondere al concetto di “patrimonio artistico, storico e archeologico nazionale” di cui parla l’art. 36 TFUE (corrispondente al vecchio art. 30 TCE), dedicato all’individuazione dei limiti alla libera circolazione delle merci; semmai può considerarsi parzialmente sovrapposto a questo, per tutti quei casi in cui un bene appartenente al patrimonio culturale di uno Stato membro sia anche parte del non ancora determinato “patrimonio culturale europeo” e possa godere pertanto di un doppio livello di tutela.
L’UE è legittimata ad intervenire in difesa del patrimonio culturale di importanza europea mediante un’azione concorrente con quella statale, in applicazione del principio di sussidiarietà espresso ora nell’art. 5 del Nuovo Trattato sull’Unione Europea (NTUE). Il fatto che esso sia assunto a principio informatore dell’intervento comunitario in ambito culturale è sotteso nella lettera del par. 2 dell’art. 167 TFUE (corrispondente al vecchio art. 151 TCE), secondo il quale: “L’azione dell’Unione è intesa ad incoraggiare la cooperazione fra Stati membri e,se necessario, ad appoggiare ed integrare l’azione di questi ultimi”. Questa norma lascia un ruolo ridotto all’Unione, che può intervenire solo quando l’azione degli Stati sia insufficiente allo scopo.
Il principio di sussidiarietà ispira tutta l’azione comunitaria in materia culturale e, a fortiori, nel settore specifico della tutela dei beni culturali. In quest’ultimo settore, in particolare, l’intervento comunitario si caratterizza appunto quale contributo all’integrazione delle politiche nazionali e all’incoraggiamento della cooperazione fra Stati membri. L’intervento legislativo dell’UE è limitato poiché le istituzioni comunitarie possono solo adottare raccomandazioni, cioè atti non vincolanti, e “azioni di incentivazione, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri”, come stabilito dal par. 5 dello stesso art. 167 TFUE. Ciò significa che nel settore specifico della tutela dei beni storico-artistici, vige ancora una ripartizione delle competenze che privilegia il ruolo del legislatore statale invece che di quello comunitario.
L’Unione europea, consapevole che delitti che incidono sulla conservazione del patrimonio culturale possono essere perseguiti in maniera efficace solo mediante l’adozione di strumenti di cooperazione fra Stati membri, ha incluso il delitto di “traffico illecito di beni culturali, compresi gli oggetti di antiquariato e le opere d’arte” nella lista di reati di cui all’art. 2, par. 2 della Decisione quadro 584/2002/GAI sul mandato di arresto europeo e le procedure di consegna tra gli Stati membri dell’Unione europea. In tal modo, da un lato si afferma la rilevanza penale del reato in questione in tutti i sistemi penali degli Stati membri e, dall’altro, si attua una tutela rafforzata avverso tale tipologia di delitti, prevedendo una semplificazione delle procedure di consegna tra gli Stati membri e il mutuo riconoscimento delle decisioni penali, questo risultato permette di perseguire “automaticamente” in tutto il territorio comunitario i soggetti che si sono resi responsabili di tale crimine in un Paese e che poi si sono rifugiati in un altro Stato, grazie anche all’abolizione del requisito della doppia punibilità.
Ancora, il traffico illecito di beni culturali è indicato tra i reati cui siriferisce la Decisone quadro 2006/783/GAI del Consiglio del 6 ottobre 2006, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni ai provvedimenti di confisca. Ai sensi di tale atto vengono riconosciute automaticamente in tutti gli Stati membri le decisioni emesse dal giudice di un altro Stato membro relativamente alla confisca di beni culturali proventi di reato (art.6, lett.g).

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