Architettura

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Giacomo Pirazzoli, Università di Firenze
A dieci anni dalla pubblicazione di No-logo di Naomi Klein, molte “archistar” han più volte fatto il giro del mondo per consegnare i curiosi frutti della propria creatività. Come parte di questo processo di etichettatura, quasi dappertutto ormai si possono trovare dei Logo-musei che somigliano inevitabilmente a coloro che li hanno progettati.
Naturalmente, i sogni son stati venduti ad un certo prezzo, seguendo alcune regole; l’economia e la gestione sono state talvolta forzate a supportare progetti deliranti, con il risultato di vedere edifici stranamente disegnati e non-sostenibili. Le opere d’arte all’interno non sempre sono ben visibili, a volte perfino nemmeno correttamente preservate, spesso soverchiate dalla iperarchitettura dell’apparenza; così il museo rischia di diventare l’ennesimo strumento passivo per fare intrattenimento, piuttosto che risorsa per educare.
Su questo panorama global dove la multeplicità disciplinare è condizione fondativa, c’è molto da lavorare per il museo prossimo venturo, perchè possa realmente diventare occasione di dialogo interculturale, luogo di incontro sociale e di interazione vera da parte dei fruitori.

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